LA CRUZ DE HIERRO.
Mi alzo alle cinque del mattino alle sei sono pronta per
partire. Passo in cucina per la colazione è ancora tutto immerso nel buio e nel
silenzio. I più dormono ancora. In cucina ci sono due donne spagnole
dall’aspetto grintoso (nel senso migliore del termine). La sera prima avevo
notato il loro equipaggiamento molto leggero. Il sacco a pelo è poco più di un
lenzuolo e poi ho visto che sono andate a letto già con i vestiti del giorno
dopo. Un signore spagnolo che cammina con loro mi suggerisce qualcosa, mi pare
di capire che arrivare alla Croce di ferro prima dell’alba si possa godere uno spettacolo
da non perdere.
Con questa cosa in testa mi avvio per la tappa della
giornata.
Usciti da Rabanal si imbocca subito un sentiero in
salita. E’ buio e io mi illumino con la pila sulla fronte, ma poi noto che i
pellegrini che mi sorpassano procedono con passo spedito senza lucetta e mi
chiedo come fanno. Incuriosita spengo la mia e meraviglia, la luna piena
illumina la strada di una magica luce argentea.
Baciata dalla luna arrivo a Foncebadòn, oggi abbandonato
e in rovina. Nel Medio Evo fu un
importante centro per i pellegrini che salivano sul monte Irago, con due
hospitales e un convento, abitato fino all’inizio del XIX secolo.
Loro partono tutti dopo di me, mi raggiungono e mi
sorpassano. Così è.
Proseguendo il cammino, il paesaggio è molto bello, si
apre in panorami spettacolari, l’aria è frizzante, il cielo limpido. In un
pianoro mi soffermo ad ammirare la luce rosso porpora dell’alba che abbraccia
tutto il cielo e la pianura in lontananza in un’atmosfera rarefatta. Dio,
l’universo, il tutto non sono mai stati così vicini. Con in testa le parole
dello spagnolo, mi affretto per arrivare ancora con questa luce alla Cruz de
hierro ma c’è ancora un po’ di strada da percorrere e arriverò che è già
giorno.
La Cruz de Hierro si
trova nei Montes de Leon a 1500 m di altezza, a pochi chilometri da Foncebadón e a quasi 250 km da Santiago de Compostela. È uno dei punti più
significativi del Camino de Santiago per la sua importanza simbolica. Vi è una
forte tradizione che include un rituale che molti pellegrini sono soliti
compiere, che consiste nel trasporto di una pietra, di una dimensione
proporzionata ai peccati di cui ci si vuole liberare, dal punto di partenza del
Cammino fino alla Cruz de Hierro, e una volta lì, viene posta nel mucchio di
pietre che sostiene la croce. Questo simboleggia liberarsi da quei peccati
mediante il sacrificio. Altre persone, in aggiunta o in sostituzione della
pietra, depositano oggetti personali, ai piedi della croce, che gli conferisce
un aspetto tra pittoresco e mistica. Anticamente al posto della Cruz sorgeva un
tempio pagano dedicato a Mercurio che era anche il protettore dei cammini. La
Cruz è costituita da un palo di legno di circa cinque metri di altezza,
sormontato da una croce di ferro, una replica dell'originale è conservato nel
Museo dei modi di Astorga.
Alla sua base, nel corso degli anni, si è andata formando una collinetta. La
leggenda narra che quando hanno costruito la Cattedrale di Santiago de
Compostela, i pellegrini sono stati invitati a contribuire portando una
pietra.

Io non ho portato nessuna pietra, non che non abbia
peccati di cui liberarmi. Avevo raccolto tre belle pietre, lisce, bianche sulla
spiaggia di Pietra Ligure ma le ho dimenticate a casa, al mare e sono li che
fanno bella mostra di sé sullo scaffale.
Quindi fatte le foto, una in particolare che riprende
“Francesco “ col suo compagno di viaggio (che non pubblicherò perché è più
sfocata delle altre, riprendo il mio cammino.
Il punto più alto lo si raggiunge in prossimità di
un’antenna per le comunicazioni, 1531m.
Dopo di che Incomincia una lieve discesa fino a Manjarin
dove c’è un caratteristico rifugio di ispirazione templare. Poco distante una
strana e pittoresca insegna che indica che mancano 222 km a Santiago e
altrettante insegne che indicano tutte le distanze per arrivare a città e
località conosciute di tutto il mondo.
Ancora una leggera salita prima di arrivare al punto dove
inizia la discesa vera e propria. Il sentiero costeggia la strada asfaltata e a
tratti si alterna.
Riprendo il sentiero, considerando la mia incapacità su
questi terreni scendo pietra per pietra passo dopo passo. Arrivata ad uno
spiazzo sulla strada asfaltata, vedo fermarsi un pullman dal quale scendono dei
turisti , belli, freschi, con zainetti da passeggio, che guidati da una guida
scendono lungo il sentiero da me tanto sofferto. Mi viene un po’ di stizza
vedere questi, tutti fighetti inoltrarsi sul sentiero, staccando le more dei
cespugli come se fosse una semplice scampagnata. Ma così va il mondo!
Abbandonati i
turisti arrivano Cinzia, Margi e Nora, anche loro sono provate, Nora ha dei
problemi ai piedi le consiglio un bagno in acqua e sale, Margi è isterica,
sull’orlo di una crisi di nervi. Mi compatiscono che io ho deciso di arrivare
fino a Ponferrada mentre loro si fermeranno
a Molinasecca che si trova ai piedi della lunga discesa.
Mi faccio coraggio e affronto gli ultimi Km. che mi separano dalla mia meta.
Ambita perché a Ponferada c’è un bellissimo castello dei templari che vorrei visitare.
Lungo la strada mi delizia il profumo di alcuni alberi di
fichi e penso che se mi facessi una casetta con giardino vorrei proprio una
pianta di fichi sotto la finestra della mia camera.
L’arrivo a Ponferrada è estenuante. Arrivata all’albergue
municipale devo ancora andare a ritirare
la mochila in un caffè poco distante. Sono
distrutta. Sfinita. Anche l’hospitalero che mi accompagna al mio letto mi
guarda con compassione. E’ la prima ed unica volta che all’arrivo mi butto nel
letto così come sono e ci rimango per un paio d’ore, credo. Nel frattempo la
stanza, grande come un dormitorio si riempie, arrivano dei ciclisti e pure la
ragazza che avevo incontrato per strada.
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente e le invasioni dei Vandali il sito fu abbandonato, finché nel XII secolo il vescovo di Astorga, Osmundo,
per agevolare i pellegrini di Santiago fece costruire sul fiume Sil un
ponte rinforzato in ferro (Pons Ferrata) dal quale prese il nome il
borgo, tappa del camino frances intermedia fra Mulina Seca e Villafranca del Bierzo.
Scomparso l'Ordine, Ponferrada passò più volte di mano fino a quando nel XVI secolo venne in possesso del conte di Lemos il quale però fu contestato dal figlio che pretendeva la proprietà del castello. Risolsero la disputa i Re Cattolici che rivendicarono la proprietà del castello e dell'abitato facendoli restituire alla Corona di Spagna.
Da allora non vi furono più fatti rilevanti nella storia di
Puenferrada che seguì senza protagonismi la storia di Spagna nei suoi
splendori e nei suoi periodi di declino. L'unica distinzione fu per lo
sviluppo industriale che si accentuò a Ponferrada nel XX secolo.
L’albergue è piacevole, una vasca d’acqua corrente invita
a mettere i piedi a bagno ne assaggio la temperatura
ma la sento troppo fresca.
Rimessami in ordine vado in giro per la città. Anche qui una bella movida. Il castello
dei templari è bellissimo e molto ben conservato, po vengo a scoprire che ha subito molte ristrutturzioni. Naturalmente e troppo
tardi per visitarlo. Giro per il centro, mi farebbe piacere una bella soupa,
che qui in Spagna le fanno molto buone, ma nei menù esposti fuori dai ristorantini
non c’è traccia. Un signore spagnolo seduto ad un caffè in piazza mi attacca
bottone, però non sa indicarmi una trattoria che faccia al mio caso. Infine opto
per un ristorante italiano, nel menù ho visto un nome di qualcosa che non
conosco, rimango un po’ delusa, si trattava di una specie di raviolini. Niente di
che. Dopo aver girato un po’ in queste strade piene di localini che servono
questi tapas e affollatissimi mi ritiro per la notte che l’ora si fa tarda.
Vado ancora in bagno per l’ultima toeletta, mentre mi
lavo i denti, vicino al mio lavandino c’è
un giovane uomo spagnolo, che mi fa delle domande. Come mi chiamo, quanti anni
ho e si complimenta con me. E’ un bell’uomo. Potrebbe essere un attore degli
anni quaranta-cinquanta. Potrebbe interpretare la parte di Zorro. La maschera e
il mantello gli starebbero benissimo. Mentre chiacchieriamo una voce esce dalla
toelette dicendo: Quando meno te l’aspetti arriva Phelipe.
Sempre piacevole leggerti. Che forza che hai, io a Molinaseca ero sfatto e mi sono fermato.
RispondiEliminaGrazie Cirino, sei un amico!
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