venerdì 15 novembre 2013

Rabanal del Camino - Ponferrada



LA CRUZ DE HIERRO.

Mi alzo alle cinque del mattino alle sei sono pronta per partire. Passo in cucina per la colazione è ancora tutto immerso nel buio e nel silenzio. I più dormono ancora. In cucina ci sono due donne spagnole dall’aspetto grintoso (nel senso migliore del termine). La sera prima avevo notato il loro equipaggiamento molto leggero. Il sacco a pelo è poco più di un lenzuolo e poi ho visto che sono andate a letto già con i vestiti del giorno dopo. Un signore spagnolo che cammina con loro mi suggerisce qualcosa, mi pare di capire che arrivare alla Croce di ferro  prima dell’alba si possa godere uno spettacolo da non perdere.
Con questa cosa in testa mi avvio per la tappa della giornata.
Usciti da Rabanal si imbocca subito un sentiero in salita. E’ buio e io mi illumino con la pila sulla fronte, ma poi noto che i pellegrini che mi sorpassano procedono con passo spedito senza lucetta e mi chiedo come fanno. Incuriosita spengo la mia e meraviglia, la luna piena illumina la strada di una magica luce argentea.
Baciata dalla luna arrivo a Foncebadòn, oggi abbandonato e in rovina. Nel  Medio Evo fu un importante centro per i pellegrini che salivano sul monte Irago, con due hospitales e un convento, abitato fino all’inizio del XIX secolo.
Di recente è stato aperto un punto di ristoro mi pare anche con possibilità di pernottamento. E’ gestito da un ragazzo giovane. Sui tavoli sono disposte brocche contenenti caffè, latte, te, torte. Ci si serve personalmente e il tutto si paga lasciando i soldi da qualche parte che ora non ricordo. Mi servo di una fetta di torta molto ricca ed energetica, buonissima. Nel frattempo arrivano le tre amiche Cinzia, Margi e Nora la brasiliana. Ci incontriamo sempre nelle puntate intermedie di ristoro, anche “Francesco” con il suo compagno di viaggio.
Loro partono tutti dopo di me, mi raggiungono e mi sorpassano. Così è.
Proseguendo il cammino, il paesaggio è molto bello, si apre in panorami spettacolari, l’aria è frizzante, il cielo limpido. In un pianoro mi soffermo ad ammirare la luce rosso porpora dell’alba che abbraccia tutto il cielo e la pianura in lontananza in un’atmosfera rarefatta. Dio, l’universo, il tutto non sono mai stati così vicini. Con in testa le parole dello spagnolo, mi affretto per arrivare ancora con questa luce alla Cruz de hierro ma c’è ancora un po’ di strada da percorrere e arriverò che è già giorno.


La Cruz de Hierro si trova nei Montes de Leon a 1500 m di altezza, a pochi chilometri da Foncebadón e a quasi 250 km da Santiago de Compostela. È uno dei punti più significativi del Camino de Santiago per la sua importanza simbolica. Vi è una forte tradizione che include un rituale che molti pellegrini sono soliti compiere, che consiste nel trasporto di una pietra, di una dimensione proporzionata ai peccati di cui ci si vuole liberare, dal punto di partenza del Cammino fino alla Cruz de Hierro, e una volta lì, viene posta nel mucchio di pietre che sostiene la croce. Questo simboleggia liberarsi da quei peccati mediante il sacrificio. Altre persone, in aggiunta o in sostituzione della pietra, depositano oggetti personali, ai piedi della croce, che gli conferisce un aspetto tra pittoresco e mistica. Anticamente al posto della Cruz sorgeva un tempio pagano dedicato a Mercurio che era anche il protettore dei cammini. La Cruz è costituita da un palo di legno di circa cinque metri di altezza, sormontato da una croce di ferro, una replica dell'originale è conservato nel Museo dei modi di Astorga. Alla sua base, nel corso degli anni, si è andata formando una collinetta. La leggenda narra che quando hanno costruito la Cattedrale di Santiago de Compostela, i pellegrini sono stati invitati a contribuire portando una pietra.



Io non ho portato nessuna pietra, non che non abbia peccati di cui liberarmi. Avevo raccolto tre belle pietre, lisce, bianche sulla spiaggia di Pietra Ligure ma le ho dimenticate a casa, al mare e sono li che fanno bella mostra di sé sullo scaffale.
Quindi fatte le foto, una in particolare che riprende “Francesco “ col suo compagno di viaggio (che non pubblicherò perché è più sfocata delle altre, riprendo il mio cammino.
Il punto più alto lo si raggiunge in prossimità di un’antenna per le comunicazioni, 1531m. 
Dopo di che Incomincia una lieve discesa fino a Manjarin dove c’è un caratteristico rifugio di ispirazione templare. Poco distante una strana e pittoresca insegna che indica che mancano 222 km a Santiago e altrettante insegne che indicano tutte le distanze per arrivare a città e località conosciute di tutto il mondo.
Ancora una leggera salita prima di arrivare al punto dove inizia la discesa vera e propria. Il sentiero costeggia la strada asfaltata e a tratti si alterna.
La guida dice che non è difficile ma secondo me è pazzesco in quanto è molto pietroso e impervio e soprattutto si protrae per tanti kilometri. Siamo nel Bierzo regione del leonense. Si attraversano due bei paesini,  El Acebo 1150 m e Riego de Ambros dove arrivo verso, forse le undici o undici e mezza. Qui fanno tutti una sosta. Mi fermo ad un caffè per una pausa e immaginando che Gino da Torino mi abbia già telefonato ed essendo a quelle altitudini  non c’era campo, gli telefono per rassicurarlo che tutto va bene. Non l’avessi mai fatto! Mi ha investita tutto arrabbiato dicendomi che aveva anche telefonato a Maria Grazia una mia cara amica per dirle che era tutta la mattina che mi cercava senza poter comunicare con me. E sì che lo sapeva che quel giorno mi sarei trovata a quelle altitudini e quindi doveva immaginare che il telefono non prendeva. Stacco la comunicazione in malo modo arrabbiata a mia volta.




Riprendo il sentiero, considerando la mia incapacità su questi terreni scendo pietra per pietra passo dopo passo. Arrivata ad uno spiazzo sulla strada asfaltata, vedo fermarsi un pullman dal quale scendono dei turisti , belli, freschi, con zainetti da passeggio, che guidati da una guida scendono lungo il sentiero da me tanto sofferto. Mi viene un po’ di stizza vedere questi, tutti fighetti inoltrarsi sul sentiero, staccando le more dei cespugli come se fosse una semplice scampagnata. Ma così va il mondo!
 Abbandonati i turisti arrivano Cinzia, Margi e Nora, anche loro sono provate, Nora ha dei problemi ai piedi le consiglio un bagno in acqua e sale, Margi è isterica, sull’orlo di una crisi di nervi. Mi compatiscono che io ho deciso di arrivare fino a Ponferrada mentre loro si fermeranno  a Molinasecca che si trova ai piedi della lunga discesa.


  Arrivata a Molinasecca, che si vede dall’alto della strada asfaltata mi giunge un brusio allegro. Viene dal prato di un albergue li sotto.  Lo deduco dal fatto che vi sono tante persone in perfetto relax. Entro in paese e l’atmosfera continua ad essere brillante, pellegrini per le strade e seduti ai caffè-ristoranti. Seduto ad uno di questi locali incontro il brasiliano il quale mi mostra una bella bistecca. L’ultima volta che ci siamo incontrati mi aveva detto che era stato ammalato e a Leon si era messo a letto per due giorni e si sentiva molto debilitato e io gli avevo consigliato di mangiare delle belle bistecche come avevo visto fare alla costaricana (che non ho mai più visto) tempo addietro. Ritrovo anche le tre amiche. Il loro albergue è fuori dal paese. Le vedo entrare in una bella casetta linda e graziosa. Sarà l’una o le due del pomeriggio.
E’ una bella giornata di sole e l’aria è frizzante. Mi siedo per una piccola pausa proprio davanti all’albergue dove sono entrate le mie amiche e telefono a Maria Grazia a Torino tanto per rassicurarla dopo le telefonate ansiose di Gino (che è un caro amico pure lui). Maria Grazia come sente la mia voce ridendo divertita mi chiede com’è che vado in giro ubriaca. Gino nella sua telefonata ansiosa le ha detto che non mi trovava e che ero in giro ubriaca. Roba da non credere! Comunque ridiamo divertite e le spiego che è  stato l’altro ieri sera che ho bevuto la sangria e poi non ero ubriaca ma leggermente “ombre”!
Mi faccio coraggio e affronto  gli ultimi Km. che mi separano dalla mia meta. Ambita perché a Ponferada c’è un bellissimo castello dei templari che vorrei visitare.



La strada che ne segue è tutta sull’asfalto e da quel punto di vista meno faticosa. Come sempre c’è un punto un cui sono incerta. Vado un po’ avanti e indietro per capire se sono sulla strada giusta. Di pellegrini in giro neanche l’ombra. Finalmente arriva una ragazza che procede spedita e allora proseguo rassicurata.
Lungo la strada mi delizia il profumo di alcuni alberi di fichi e penso che se mi facessi una casetta con giardino vorrei proprio una pianta di fichi sotto la finestra della mia camera.
L’arrivo a Ponferrada è estenuante. Arrivata all’albergue municipale devo ancora andare  a ritirare la mochila  in un caffè poco distante. Sono distrutta. Sfinita. Anche l’hospitalero che mi accompagna al mio letto mi guarda con compassione. E’ la prima ed unica volta che all’arrivo mi butto nel letto così come sono e ci rimango per un paio d’ore, credo. Nel frattempo la stanza, grande come un dormitorio si riempie, arrivano dei ciclisti e pure la ragazza che avevo incontrato per strada.


I primi nuclei abitativi fissi della zona furono costituiti da Liguri poi soppiantati e mescolati a popoli Celtici. La conquista romana di questi territori iniziò nel I secolo a.C. e con essa iniziò lo sfruttamento intensivo dei giacimenti auriferi locali. La tecnica estrattiva, detta in latino ruina montium, consisteva nello scavare nelle rocce aurifere delle gallerie e dei canali attraverso i quali veniva introdotta dell'acqua: questa erodeva la montagna trasportando il materiale aurifero in apposite vasche per il lavaggio e il recupero dell'oro. Questa erosione e la successiva azione degli eventi atmosferici hanno prodotto il complesso del tutto particolare e suggestivo chiamato Las Médulas, dichiarato nel 1997 patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Questa risorsa fece dell'attuale Ponferrada una città romana, sede di una mansio, citata ancora nel III secolo col nome di Interamnium Flavium nell'Itinerario antonino.
Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente e le invasioni dei Vandali il sito fu abbandonato, finché nel XII secolo il vescovo di Astorga, Osmundo, per agevolare i pellegrini di Santiago fece costruire sul fiume Sil un ponte rinforzato in ferro (Pons Ferrata) dal quale prese il nome il borgo, tappa del camino frances intermedia fra Mulina Seca e Villafranca del Bierzo.
Il borgo di Puenferrada fu all'inizio in potere dei Re di León che nel 1178 la donarono all'Ordine dei Templari che si era preso cura della sicurezza del Camino.
Scomparso l'Ordine, Ponferrada passò più volte di mano fino a quando nel XVI secolo venne in possesso del conte di Lemos il quale però fu contestato dal figlio che pretendeva la proprietà del castello. Risolsero la disputa i Re Cattolici che rivendicarono la proprietà del castello e dell'abitato facendoli restituire alla Corona di Spagna.
Da allora non vi furono più fatti rilevanti nella storia di Puenferrada che seguì senza protagonismi la storia di Spagna nei suoi splendori e nei suoi periodi di declino. L'unica distinzione fu per lo sviluppo industriale che si accentuò a Ponferrada nel XX secolo.


L’albergue è piacevole, una vasca d’acqua corrente invita a mettere i piedi a bagno ne assaggio la temperatura
ma la sento troppo fresca. Rimessami in ordine vado in giro per la città. Anche qui una bella movida. Il castello dei templari è bellissimo e molto ben conservato, po vengo a scoprire che ha subito molte ristrutturzioni. Naturalmente e troppo tardi per visitarlo. Giro per il centro, mi farebbe piacere una bella soupa, che qui in Spagna le fanno molto buone, ma nei menù esposti fuori dai ristorantini non c’è traccia. Un signore spagnolo seduto ad un caffè in piazza mi attacca bottone, però non sa indicarmi una trattoria che faccia al mio caso. Infine opto per un ristorante italiano, nel menù ho visto un nome di qualcosa che non conosco, rimango un po’ delusa, si trattava di una specie di raviolini. Niente di che. Dopo aver girato un po’ in queste strade piene di localini che servono questi tapas e affollatissimi mi ritiro per la notte che l’ora si fa tarda.
Vado ancora in bagno per l’ultima toeletta, mentre mi lavo i denti,  vicino al mio lavandino c’è un giovane uomo spagnolo, che mi fa delle domande. Come mi chiamo, quanti anni ho e si complimenta con me. E’ un bell’uomo. Potrebbe essere un attore degli anni quaranta-cinquanta. Potrebbe interpretare la parte di Zorro. La maschera e il mantello gli starebbero benissimo. Mentre chiacchieriamo una voce esce dalla toelette dicendo: Quando meno te l’aspetti arriva Phelipe.


2 commenti:

  1. Sempre piacevole leggerti. Che forza che hai, io a Molinaseca ero sfatto e mi sono fermato.

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