venerdì 15 novembre 2013

Ponferrada - Pereje



LA VIDA ES SUEGNO

Ieri in quella discesa mi sono fatta male ad una caviglia, già fragile per una vecchia frattura. Quindi zoppico. Non mi sono alzata molto presto ed esco dall’albergue che è già chiaro. Faccio colazione al bar dove lascerò la mochila e trovo una giovane coppia italiana che ho già incrociato molte volte. Sono belli insieme. Lei è molto carina, lui è un rompi numero uno e lei ha un’espressione di tenera sopportazione quando lui si fa le sue sparate, ma ho notato che da qualche tempo lui ha un po’ abbassato la cresta, forse la fatica lo sta ridimensionando un po’. Arrivata al castello dei templari incontro Nora che si è già fatta cinque km. Il consiglio di mettere  i piedi a bagno in acqua e sale ha funzionato. Stamattina lei non ha più problemi. Le chiedo di Cinzia e Margi e mi dice che sono indietro e che lei se ne è distaccata in quanto vorrebbe dare un’accelerata al cammino. Percorriamo insieme un pezzo di strada poi lei con le sue lunghe gambe allunga il passo e non la incontrerò più come pure Cinzia e Margi.
Appena fuori Ponferrada c’è una fuente, mi fermo per fornirmi di acqua e faccio uno spuntino. Il tempo è bello e l’atmosfera pure seduta sul sedile di pietra me la sto godendo.
Sopra la fuente c’è un parco e una ragazza con un’abilità da circo sta scendendo reggendo in bilico una pila di stoviglie. La ragazza è molto carina. Ammirata dalla sua abilità le faccio un piccolo applauso. Con le stoviglie, la ragazza si avvia alla fuente, stacca una foglia dall’albero e aiutandosi con questa come se fosse una spugna lava le stoviglie. Poco dopo arriva un ragazzo,  è italiano mentre lei è americana. Sono in campeggio nel parco. Lui accende il fuoco nel barbecue in pietra. Anche loro formano una bella coppia e chiedo il permesso di fotografarli per un ricordo.
Tic toc, tic toc. E’ il suono ritmico della  punta delle bacchette che battono sul selciato. E’ da quando sono uscita dalla Meseta che ho ripreso ad utilizzarle. Ma stamattina però noto qualcosa di strano. Mi sembrano più alte. Le osservo con attenzione e mi accorgo che non sono più le mie. Non solo ma una è diversa dall’altra. Ancora una volta non ci posso credere! Chissà quand’è stato che le ho sostituite per sbaglio. E penso a chi ha cercato le sue bacchette e non le ha più trovate! Oppure ne ha trovata una sola e non più l’altra. Quindi sono stati in due ad essere privati della loro bacchetta! Non so che dire. La mia distrazione è proverbiale, da sempre. Però, sarò un’incosciente ma mi viene pure da ridere a pensare la faccia stupita e magari incavolata delle mie due vittime. Oltretutto una era pure difettosa. Nel cambio ci ho guadagnato. Mi spiace per loro ma adesso non posso farci più nulla. E vado avanti.
MIA SILVANA!
Passo alcuni paesi. In uno di questi entro in una piccola chiesetta, vi sono esposti oggetti sacri piuttoto curiosi. Nell’ultimo paese che si incontra prima di trovare lo sterrato, un tipo  in bicicletta mi saluta. E’ “Zorro”. Mi aveva detto il nome ma io l’ho dimenticato. Zorro è proprio indicato. Ha una bicicletta normale. Indossa un cappello con la tesa rotonda e larga, mi pare vestito di bianco. Come pellegrino è strano ma lì per lì non ci faccio caso. Un poco più avanti passo davanti ad un giardino, lui è fermo lì e mi chiama, lo saluto ancora e proseguo. Trovo una panca ombreggiata da un albero sul marciapiede che costeggia la strada dove passa il Camino, mi fermo e faccio uno spuntino, poi proseguo, vicino ad una fuente situata sul lato opposto al mio  il tipo richiama la mia attenzione gridando: “mia Silvana” e mi chiede se ho bisogno di acqua io gli rispondo che sono a posto, non ho bisogno di nulla. Sono un po’ sconcertata, anche perché dall’alto dei miei anni mi sento al riparo da molestie e altre cose e quindi non capisco. Poi quest’uomo mi sembra anche un po’ ambiguo come pellegrino. Gira con quella bicicletta e sembra a caccia di qualcosa. Però, cosa ci faceva la sera precedente all’albergue dei pellegrini? Comunque sia proseguo e non penso più a lui.
Arrivo a Villafranca del Berzio, lo ritrovo che sta parlando con due inglesine, lui fa finta di non conoscermi ed io pure. Si sarà accorto che sul camino c’è di meglio!
Villafranca del Bierzo
È detta la "perla del Bierzo" o la "piccola Compostela" in quanto, essendo una delle ultime tappe del Camino Francés, la sua chiesa di Santiago godeva di un particolare privilegio: i pellegrini che, giunti a Villafranca, non erano più in grado, per essersi ammalati, di raggiungere la meta fruivano ugualmente dell'indulgenza visitando la chiesa.
La sua economia si basa sull'agricoltura in particolare dei vigneti che producono l'uva per il vino a denominazione di origine controllata (DOC) detto Bierzo e sulla coltivazione di ortaggi oltre che sull'allevamento del bestiame e sul turismo, in crescita anche grazie al ritorno negli ultimi decenni dei pellgrinaggi a Santiago di Compostela.

 I primi insediamenti umani nel Bierzo risalgono al neolitico e i primi popoli stabili furono i Celti che nel vicino Castro de la Ventosa abitavano il centro di Bergidum che, con l'avvento dei Romani, fu chiamato Bergidum Flavium. Questo villaggio è citato da Antonino nella sua descrizione delle strade preromane della zona.

Nell'alto Medioevo la prima citazione di Villafranca è in un documento che riferisce di una battaglia che vi si svolse nel 791 fra Musulmani che venivano dalla Galizia e forze cristiane guidate dal re visigoto delle Asturie Bermudo I che lasciò poi il regno al nipote Alfonso II detto Il Casto. Secondo una leggenda, la nascita di Villafranca è dovuta a due mandriani che pascolavano le loro bestie nella zona e, volendo cambiare il pascolo,decisero di affidarne la scelta ad una vacca che lasciarono libera di muoversi dove volesse. L'animale si fermò nel posto ove ora sorge Villafranca. In realtà l'origine della città è legata al camino de Santiago: dopo il rinvenimento del corpo di San Giacomo nell'813 iniziarono i primi pellegrinaggi e sorsero alcuni centri dove i pellegrini potevano riposare ed eventualmente curarsi in caso di malattia. Villafranca fu uno dei primi di questi villaggi, posto all'ingresso della Valle del fiume Valcarce e nei pressi dei guadi e dei ponti sul fiume stesso e sul fiume Burbia. Nel Codix Calixtinus Villafranca è indicata come sosta intermedia fra quelle di Rabornal e Triacastela.
Nel 1070, durante il regno di Alfonso VI, su indicazione di pellegrini francesi alcuni monaci della Congregazione cluniacense fondarono il Monasterio de Santa Maria Cluniaca dove coltivarono la vite. Si formò anche un borgo di pellegrini francesi che vi si sistemarono definitivamente e la città prese il nome di Villa Franca cioè villaggio dei francesi da cui deriva il nome attuale di Villafranca e l'aggiunta dell'indicazione del Bierzo serve a distinguerla delle altre località di nome Villafranca.
La cittadina si dotò in seguito di ostelli e ospedali come la Leproseria de San Lazaro per i degenti di malattie infettive, fondata nel XII secolo e ancora attiva nel XVI, l'Hospital de Santiago del XV secolo rinnovato nel XVI, l'Hospital de San Roque trasformatosi poi nel Convento de la Anunciada, ed altri. L'esigenza di avere ospedali nelle località di sosta dei pellegrinaggi era determinata dalla frequenza di malattie ed epidemie che colpivano i pellegrini particolarmente soggetti ad esserne preda perché indeboliti dalle fatiche dei viaggi, sfavoriti dalla promiscuità nei luoghi di sosta e dalle cattive condizioni igieniche di quei tempi. Per agevolare i
pellegrini il re Alfonso VI nel 1072 concesse loro l'esenzione dal pagamento del pedaggio imposto dal Castillo de Santa Maria de Autares vicino a Villafranca. Nel 1186 il vescovo di Astorga ottenne da Roma una bolla papale che lo autorizzava a costruire una chiesa a Villafranca che avrebbe goduto degli stessi privilegi d'indulgenza per chi, partito per effettuare il pellegrinaggio a Santiago e arrivato a Villafranca, non fosse stato in grado di proseguire il viaggio.
Ma io non mi fermerò a Villafranca. Proseguirò ancora per Pereje a 5 o 6 km.Arrivata al ponte che esce dal paese il camino si divide. Ancora una volta chiedo e ridendo mi dicono di proseguire diritto. Poi capisco, l’altra via passa per la montagna ed è molto più impervia.
Il camino prosegue su un sentiero a lato della strada provinciale. Strada poco frequentata in quanto il traffico è tutto dirottato sull’autostrada più a monte.
Si costeggia un rio sulla cui riva è tutto un bosco di castagni le cui fronde arrivano ad altezza d’uomo. Mi piace questo  tratto è tranquillo, allungando una mano
posso toccare la cima degli alberi in questa stagione carichi di ricci ed il canto del rio accompagna il mio Camino. Non solo ma c’è anche una ragazza, che mi accompagna  a distanza. E’ un’asiatica. Vestita di grigio, con pantaloni ampi stretti alla caviglia e un cappellino che la copre tutta. Anche lei l’ho già vista da qualche parte e mi pare di averla intravista senza cappellino con la testa calva. E allora mi faccio delle domande.
L’albergue a Pereje è piccolino. Una casetta in legno e pietra. La reception tutta rivestita in legno profuma di cera. Cerco l’hospitalero ma non c’è nessuno. Chiamo e mi risponde la voce di Phelipe. E’ qui anche lui.
Infine arriva l’hospitalero, è un ragazzo giovane, biondo e simpaticamente garbato. La camera dove mi accompagna è ancora disabitata. Vi sono 12 letti ad una piazza con le sponde in legno, i comodini, e i copriletto bianchi.  Tutto molto lindo. Apro la finestra e sotto di essa trionfa un bellissimo albero di fichi. Proprio come avevo pensato due giorni prima. L’albero di fichi sotto la finestra della mia camera.
Faccio fare il bucato che c’è anche la sec adora. L’hospitalero è proprio gentile e disponibile.
Nel cortile c’è una vasca in pietra per mettere i piedi a bagno più due “gazebo” in pietra dalla linea essenziale, contornati da sedili, al centro un barbecue ed un camino sulla sommità del tetto. Hanno un’aria orientaleggiante che mi piace.Stendo il bucato lungo i fili del balcone della mia camera (mia perché non è arrivato ancora nessun altro) che la secadora non ha funzionato benissimo. Mi rilasso e vado a cena.  Vedo “Zorro” seduto al tavolino di un caffè in compagnia della ragazza che avevo incontrato il giorno prima. Ci ignoriamo reciprocamente con mio grande sollievo.
In trattoria condivido il tavolo con una pellegrina tedesca. Non ha l’aria simpatica. Non un sorriso, nemmeno un accenno. Io ordino finalmente una sopa, non ricordo il secondo ma so che ho mangiato molto bene.
Rientrata all’albergue, trovo l’hospitalero che mi aspetta. Intanto mi fa un sacco di complimenti, io non so, non gli ho detto niente, non ho fatto niente per meritarmeli, poi mi cita “La vida es suegno” di Calderon de la  Barca e prosegue dicendo che nella vita bisogna seguire i propri sogni e via discorrendo, mi fa un’altra citazione che non ho capito e prosegue dicendomi che lui è un volontario e domani finirà il suo servizio, poi mi da le dritte per l’indomani mattina, per quando me ne andrò e conclude dicendomi che la camera è tutta per me e che dopo di me è arrivato un "ronfadore" e lui l’ha messo a dormire nella camera insieme agli altri, che c’era ancora un letto libero.
Tutto questo lo trovo assolutamente delizioso. Non so che dire!


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