LA VIDA ES SUEGNO
Tic toc, tic toc. E’ il suono ritmico della punta delle bacchette che battono sul
selciato. E’ da quando sono uscita dalla Meseta che ho ripreso ad utilizzarle. Ma
stamattina però noto qualcosa di strano. Mi sembrano più alte. Le osservo con
attenzione e mi accorgo che non sono più le mie. Non solo ma una è diversa dall’altra.
Ancora una volta non ci posso credere! Chissà quand’è stato che le ho
sostituite per sbaglio. E penso a chi ha cercato le sue bacchette e non le ha
più trovate! Oppure ne ha trovata una sola e non più l’altra. Quindi sono stati
in due ad essere privati della loro bacchetta! Non so che dire. La mia
distrazione è proverbiale, da sempre. Però, sarò un’incosciente ma mi viene
pure da ridere a pensare la faccia stupita e magari incavolata delle mie due
vittime. Oltretutto una era pure difettosa. Nel cambio ci ho guadagnato. Mi spiace
per loro ma adesso non posso farci più nulla. E vado avanti.
MIA
SILVANA!
Passo alcuni paesi. In uno di questi entro in una piccola
chiesetta, vi sono esposti oggetti sacri piuttoto curiosi. Nell’ultimo paese
che si incontra prima di trovare lo sterrato, un tipo in bicicletta mi saluta. E’ “Zorro”. Mi aveva
detto il nome ma io l’ho dimenticato. Zorro è proprio indicato. Ha una
bicicletta normale. Indossa un cappello con la tesa rotonda e larga, mi pare
vestito di bianco. Come pellegrino è strano ma lì per lì non ci faccio caso. Un
poco più avanti passo davanti ad un giardino, lui è fermo lì e mi chiama, lo
saluto ancora e proseguo. Trovo una panca ombreggiata da un albero sul
marciapiede che costeggia la strada dove passa il Camino, mi fermo e faccio uno
spuntino, poi proseguo, vicino ad una fuente situata sul lato opposto al mio il tipo richiama la mia attenzione gridando: “mia
Silvana” e mi chiede se ho bisogno di acqua io gli rispondo che sono a posto,
non ho bisogno di nulla. Sono un po’ sconcertata, anche perché dall’alto dei
miei anni mi sento al riparo da molestie e altre cose e quindi non capisco. Poi
quest’uomo mi sembra anche un po’ ambiguo come pellegrino. Gira con quella
bicicletta e sembra a caccia di qualcosa. Però, cosa ci faceva la sera
precedente all’albergue dei pellegrini? Comunque sia proseguo e non penso più a
lui.
Arrivo a Villafranca del Berzio, lo ritrovo che sta parlando
con due inglesine, lui fa finta di non conoscermi ed io pure. Si sarà accorto
che sul camino c’è di meglio!
Villafranca del Bierzo
È detta la "perla del
Bierzo" o la "piccola Compostela" in quanto, essendo una delle
ultime tappe del Camino Francés, la sua chiesa di Santiago godeva di un particolare privilegio: i
pellegrini che, giunti a Villafranca, non erano più in grado, per essersi
ammalati, di raggiungere la meta fruivano ugualmente dell'indulgenza visitando
la chiesa.
La sua economia si basa sull'agricoltura in particolare
dei vigneti che producono l'uva per il vino a denominazione di origine
controllata (DOC) detto Bierzo
e sulla coltivazione di ortaggi oltre che sull'allevamento del bestiame e
sul turismo, in crescita anche grazie al ritorno negli ultimi decenni dei pellgrinaggi
a Santiago di Compostela.
I primi insediamenti umani nel
Bierzo risalgono al neolitico e i primi popoli stabili furono i Celti che nel vicino Castro de la Ventosa abitavano il
centro di Bergidum che, con
l'avvento dei Romani, fu chiamato Bergidum Flavium. Questo villaggio è citato da Antonino
nella sua descrizione delle strade preromane della zona.
Nel 1070, durante il regno di
Alfonso VI, su indicazione di pellegrini francesi
alcuni monaci della Congregazione cluniacense fondarono il Monasterio de Santa Maria Cluniaca
dove coltivarono la vite. Si formò anche un borgo di pellegrini francesi che vi
si sistemarono definitivamente e la città prese il nome di Villa Franca
cioè villaggio dei francesi da cui deriva il nome attuale di Villafranca e
l'aggiunta dell'indicazione del Bierzo
serve a distinguerla delle altre località di nome Villafranca.
La cittadina si dotò in seguito di ostelli
e ospedali come la Leproseria de San
Lazaro per i degenti di malattie infettive, fondata nel XII secolo
e ancora attiva nel XVI, l'Hospital de
Santiago del XV secolo rinnovato nel XVI, l'Hospital de San Roque trasformatosi poi nel Convento de la Anunciada, ed altri.
L'esigenza di avere ospedali nelle località di sosta dei pellegrinaggi era
determinata dalla frequenza di malattie ed epidemie che colpivano i pellegrini
particolarmente soggetti ad esserne preda perché indeboliti dalle fatiche dei
viaggi, sfavoriti dalla promiscuità nei luoghi di sosta e dalle cattive
condizioni igieniche di quei tempi. Per agevolare i
pellegrini il re Alfonso VI
nel 1072
concesse loro l'esenzione dal pagamento del pedaggio imposto dal Castillo de Santa Maria de Autares
vicino a Villafranca. Nel 1186 il vescovo di Astorga ottenne da Roma una bolla papale che lo
autorizzava a costruire una chiesa a Villafranca che avrebbe goduto degli
stessi privilegi d'indulgenza per chi, partito per effettuare il pellegrinaggio
a Santiago e arrivato a Villafranca, non fosse stato in grado di proseguire il
viaggio.
Ma io non mi fermerò a Villafranca. Proseguirò ancora per
Pereje a 5 o 6 km.
Arrivata al ponte che esce dal paese il camino si divide.
Ancora una volta chiedo e ridendo mi dicono di proseguire diritto. Poi capisco,
l’altra via passa per la montagna ed è molto più impervia.
Il camino prosegue su un sentiero a lato della strada
provinciale. Strada poco frequentata in quanto il traffico è tutto dirottato
sull’autostrada più a monte.
Si costeggia un rio sulla cui riva è tutto un bosco di
castagni le cui fronde arrivano ad altezza d’uomo. Mi piace questo tratto è tranquillo, allungando una mano
posso
toccare la cima degli alberi in questa stagione carichi di ricci ed il canto
del rio accompagna il mio Camino. Non solo ma c’è anche una ragazza, che mi accompagna
a distanza. E’ un’asiatica. Vestita di
grigio, con pantaloni ampi stretti alla caviglia e un cappellino che la copre
tutta. Anche lei l’ho già vista da qualche parte e mi pare di averla intravista
senza cappellino con la testa calva. E allora mi faccio delle domande.
Infine arriva l’hospitalero, è un ragazzo giovane, biondo
e simpaticamente garbato. La camera dove mi accompagna è ancora disabitata. Vi sono
12 letti ad una piazza con le sponde in legno, i comodini, e i copriletto
bianchi. Tutto molto lindo. Apro la
finestra e sotto di essa trionfa un bellissimo albero di fichi. Proprio come
avevo pensato due giorni prima. L’albero di fichi sotto la finestra della mia
camera.
Faccio fare il bucato che c’è anche la sec adora. L’hospitalero
è proprio gentile e disponibile.
Nel cortile c’è una vasca in pietra per mettere i piedi a
bagno più due “gazebo” in pietra dalla linea essenziale, contornati da sedili, al
centro un barbecue ed un camino sulla sommità del tetto. Hanno un’aria
orientaleggiante che mi piace.Stendo il bucato lungo i fili del balcone della mia
camera (mia perché non è arrivato ancora nessun altro) che la secadora non ha
funzionato benissimo. Mi rilasso e vado a cena. Vedo “Zorro” seduto al tavolino di un caffè in
compagnia della ragazza che avevo incontrato il giorno prima. Ci ignoriamo
reciprocamente con mio grande sollievo.
In trattoria condivido il tavolo con una pellegrina
tedesca. Non ha l’aria simpatica. Non un sorriso, nemmeno un accenno. Io ordino
finalmente una sopa, non ricordo il secondo ma so che ho mangiato molto bene.
Rientrata all’albergue, trovo l’hospitalero che mi
aspetta. Intanto mi fa un sacco di complimenti, io non so, non gli ho detto
niente, non ho fatto niente per meritarmeli, poi mi cita “La vida es suegno” di
Calderon de la Barca e prosegue dicendo che
nella vita bisogna seguire i propri sogni e via discorrendo, mi fa un’altra
citazione che non ho capito e prosegue dicendomi che lui è un volontario e
domani finirà il suo servizio, poi mi da le dritte per l’indomani mattina, per
quando me ne andrò e conclude dicendomi che la camera è tutta per me e che dopo
di me è arrivato un "ronfadore" e lui l’ha messo a dormire nella camera insieme
agli altri, che c’era ancora un letto libero.
Tutto questo lo trovo assolutamente delizioso. Non so che
dire!
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