venerdì 15 novembre 2013

San Nicolas del Real Camino - El Burgo Ranero



San Nicolas del Real Camino è l’ultimo paese della provincia di Palencia. Qui nel 1183 è stato fondato un hospital omonimo che accoglieva pellegrini e lebbrosi.
Parto piuttosto tardi. Devo aspettare che apra il bar attraverso il quale posso uscire in cortile a raccogliere le mie cose che avevo steso la sera precedente.
I cinque Km. per arrivare a Sahagun mi paiono lunghissimi e penso alla sera precedente. Se fossi stata costretta ad arrivare fino lì non ce l’avrei fatta. Sarei morta prima. Per fortuna non è andata così.
Non percorro la via ufficiale  che costeggia la nazionale ma bensì lo sterrato in mezzo ai campi che è il percorso originale ed è meno segnato ma più bello. La passeggiata è riposante. Il cielo azzurro pastello fa da sfondo al paesaggio verde.  Cammino rilassata, ad un certo punto però,  temo di aver sbagliato. Ritorno sui miei passi e chiedo ad un signore che fortunatamente esce dalla sua casa che mi conferma che il cammino è proprio quello, quindi proseguo tranquilla. Per un certo tratto dobbiamo costeggiare la ferrovia (mi pare di ricordare) e quindi attraversarla. Su questa strada vi sono pochissimi pellegrini ed è per quel motivo che mi ero preoccupata, poi conoscendo la mia svagatezza, non a torto. Infatti ogni tanto qualcuno chiama  gridando: “pellegrinoooo!!! Pellegrinoooo!!!” ed il pellegrino smarrito sono io.
 Poco prima di Sahagun c'è una strana installazione, elementi a forma di poltrone, divani, messi un po' alla rinfusa, un salotto a cielo aperto in materiale ferroso. Più avanti i resti di un arco, solo di due piloni laterali e una scritta su una striscia in cemento per terra.
A Sahagun ritrovo visi di pellegrini noti, come quel fiorentino un po’ ingombrante incontrato all’ermita. Lui si accompagna ad una signora polacca, ma difficilmente li vedo camminare insieme, solo per piccoli tratti, poi ciascuno segue il proprio ritmo. Entrambi abitano a Londra.  Lei è una signora molto riservata, in compenso lui fa per due.
Sahagun
A pochi Km. da Sahagun il percorso segna due tracciati distinti che sono molto ben segnalati. Uno segue l’antico cammino convertito in un sentiero alberato ma, gli alberi sono ancora giovani e quindi procurano poca ombra,   l’altro segue l’antica strada romana e passa per altri paesi. Io non devo sbagliare per via della mochila.
Ad un certo punto mi viene il dubbio. Avrò scelto il tracciato giusto? Coinvolgo così due ciclisti che anche loro non sanno darmi una risposta adeguata, mentre disputiamo arrivano due signore spagnole e coinvolgiamo anche loro nella discussione. Al fine decidiamo che quella è la strada che porta a El Burgo Ranero dove io ho spedito la mochila. Tranquillizzata da questo tormentone ci salutiamo tutti quanti e proseguiamo ciascuno per proprio conto. Dopo poco ricompare uno dei due ciclisti che è ritornato indietro apposta per confermarmi che quella è proprio la strada che interessa me, avendolo chiesto ad un signore del posto. A questo punto non ci sono proprio più dubbi.
Il cammino prosegue monotono e piatto fino a El Burgo Ranero che si presenta di uno squallore mai visto. Piatto, incolore. Sembra un paese dimenticato da Dios, tanto che in giornata incontro il brasiliano che non sta bene e si sente la febbre. Vorrebbe misurarla ma non ha trovato un termometro in tutto il paese, né in farmacia né presso privati.
Arrivo all’albergue municipale, mi metto in fila, davanti a me un ragazzo sta appoggiando lo zaino a terra con una smorfia di dolore. È Franco, l’argentino. Avrei dovuto fotografarlo adesso, nel momento della verità.
Il municipale è già al completo e la mia mochila è da un’altra parte. Un ristorante lì di fronte.
Intanto incontro il ballerino, e mi indica un albergue dove lui ha prenotato ma la figlia ha preferito fermarsi al municipale. Io disattendo la sua indicazione e recuperata la mochila mi avvio dietro all’argentino.
Troviamo al El Nogal dove ero già passata davanti al mio arrivo e avevo già avuto un contatto con l’hospitalero. Subito dopo arrivano i due amici romani, Andrea e Marco.
Con i ragazzi mi sono incrociata diverse volte lungo il cammino e loro sono sempre stati festosi nel salutarmi. Andrea spesso si è fermato a chiacchierare con me. È un ragazzo sveglio, intelligente. Lo trovo sempre inserito in gruppi di persone. Mi ha raccontato dei suoi studi, dei suoi progetti futuri, della sorella che lavora in Spagna dei suoi progressi con la lingua spagnola. Dello scambio culturale tra lui e Franco, lui insegna l’italiano a Franco e Franco a sua volta lo spagnolo a lui. Sono un bel terzetto. Uno diverso dall’altro e sono diventati amici.
Dividiamo la stessa camerata. Noto che la camicia di Franco ha uno strappo nella manica. Lui mi dice che l’ha strappata apposta. Gli rispondo che è bello lo stesso, anzi di più, bello e impossibile. Lui sta cercando un termine che non trova allora mi chiede: “il contrario di perfetto?” “Imperfetto” dico io “Imperfetto” ribadisce lui.
Verso sera si alza un vento terribile e molto freddo. Dei signori spagnoli vedendomi passare rannicchiata in me stessa si mettono a ridere commentando: "Frio, Frio!" e sembra un motivetto.

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