venerdì 15 novembre 2013

Roncisvalle - Zubiri



Eccomi alla mia prima tappa. Un cartello recita: Santiago 790 KM. Lo guardo con una certa trepidazione, l’impresa mi sembra inverosimile.

Alle sei del mattino siamo tutti pronti. Io, Paola e Alessandro che già dal giorno prima aveva  espresso il desiderio di stare in compagnia. Sergio è già partito per conto suo. Il disegno della “concha” (conchiglia) e una freccia gialla ci indicano la strada e da quel momento non le abbandoniamo più.  Sono loro la nostra guida, la nostra stella cometa. La concha è il simbolo del camino. Gli antichi pellegrini dopo essere arrivati a Santiago proseguivano per Finisterre a raccogliere la conchiglia da portare a casa a testimonianza del camino appena fatto. 

 Zaino in spalla e pila in mano ci immergiamo nel buio. Hola! Il mio “camino” parte da qui. La mia pila fa una lucetta un po’ misera. Paola e Alessandro hanno familiarizzato, hanno lo stesso passo, io rimango indietro, sempre più indietro, fino a quando loro spariscono nel buio. Ci eravamo detti che ognuno avrebbe seguito il proprio passo, il proprio ritmo. Il mio ovviamente è più lento. Ci siamo dati appuntamento al primo paese per la colazione. Lì c’è un punto di ristoro che apre alle 6,30 del mattino proprio per i pellegrini. Quando arrivo ci sono tutti, anche Paola e Alessandro forse anche Sergio, non ricordo bene. Ripartiamo tutti insieme e con Paola ci diamo appuntamento al ponte di Zubiri.

Presto rimango sola. Ma la cosa né mi dispiace né  mi preoccupa. Di fatto nel camino non si è mai soli. C’è sempre qualcuno dopo di te. E siamo in tanti.   

Il percorso si inoltra nei boschi. Abeti, roveri e pini. Siamo nella Navarra pedemontana, sempre in zona pirenaica nell’alto de Mezkititz (922) dove si trova una lapide in pietra che ricorda la Madonna di Roncisvalle, la tradizione vuole che si reciti un "Salve Regina", e l’alto dell’Erro (801 m.). I sentieri fiancheggiati dalla ricca vegetazione ancora oggi fanno pensare a cosa doveva essere il cammino nel Medio Evo dove banditi e lupi facevano tanta paura. Salite, discese, sentieri stretti e ripidi per fortuna le salite subito discendono. Quando la strada si appiana, la bellezza delle luci e delle ombre procurate dai raggi di sole che filtrano tra i rami fitti di foglie, mi cattura e respiro a pieni polmoni. Tutti mi sorpassano e io mi faccio da parte, lascio che vadano. Sono lenta soprattutto nei sentieri sassosi. A metà  tappa, circa, trovo una lapide in pietra ed è la prima vittima che incontro. Si tratta di un pellegrino giapponese. Mentre sono assorbita in muta partecipazione arriva un passerotto è bello, panciuttino, le piume sul pancino tendono al rosso mi zampetta intorno,  io gli attribuisco significati che forse sono solo nella mia testa. Lascio il giapponese con una domanda che si rinnova ogni volta che incontro una croce “chissà cosa gli è successo o cosa le è successo”. Ritorno sul mio camino, è ora di pranzo, molti li vedo seduti tra l’erba a imbastire una specie di pic nic. Io vado avanti inesorabile, mi rendo conto della mia lentezza e non devo perdere tempo per non arrivare troppo tardi. Il mio pensiero è rivolto anche a Paola che magari è già a buon punto molto più avanti di me, le telefono dicendole di non aspettarmi al ponte che sono molto indietro, lei mi dice che vuole ancora proseguire oltre ma, io di sicuro non ce la farò e quindi ci salutiamo con l’intesa che se lei deciderà di fermarsi a Zubiri mi aspetterà sul ponte. Le ore passano, c’è un punto di ristoro. Un camioncino, un tavolino qualche sedia e un ombrellone. Mi siedo per una bibita, mi viene offerta da un pellegrino che è in gruppo con altre persone. Sono americani  e sono molto gentili. Infine riprendo il mio cammino. Mi sorpasseranno di lì a poco.  La mazzata deve ancora arrivare. Sul finire della tappa una lunga discesa che a me pare interminabile. E’ quasi impraticabile,  ma io   non sono mai stata in montagna quindi non ho termini di paragone. Scendo passo passo, sasso per sasso, lo zaino un po’ mi destabilizza, faccio molta attenzione, non voglio farmi subito del male.  A questo punto ho la netta percezione di essere proprio sola, penso a Vinca, una mia amica che ha tentato più volte di distogliermi da questa avventura e mi viene da dire che aveva ragione. E penso alle mie passeggiate di allenamento, soprattutto a quella che ho fatto al mare in Liguria, Petraligure – Varigotti, credo una quindicina di KM. e della quale ero tanto orgogliosa. Mi viene quasi  da ridere, se a tratti, non mi venisse quasi da piangere, in confronto a questo percorso quella è stata una passeggiata, “Una promenade”. Per ben due volte subisco l’assalto di una colonia di tafani.  Mi pizzicano da tutte le parti, sono il loro piatto di portata principale. Tento di difendermi sventolando i bastoncini, sembro Don Chisciotte che combatteva contro i mulini a vento, io contro i tafani. Sono fradicia di sudore, sono troppo vestita. Quando sono partita da Roncisvalle faceva molto freddo ma adesso la temperatura si è alzata è pieno pomeriggio e fa caldo. Ma non me ne rendo conto, l’unico mio pensiero è di andare avanti avanti avanti.

Finalmente come un miraggio mi compaiono i tetti di un paese, suppongo che sia la mia meta e mi si allarga il cuore.  La discesa non è ancora finita ma ora ho la certezza che sta per finire. Per certo mi rendo conto di quello che sarà il camino nei giorni a venire. La prima tappa già si è presentata con tutto il suo splendore e tutte le sue difficoltà.

Come prevedevo Paola sul ponte non c’è. Non ricordo esattamente a che ora sono arrivata ma sicuramente non prima delle 16’30 se non addirittura le 17. Ho camminato quasi ininterrottamente dalle 6 del mattino sino ad allora.
Puente de la rabbia

Il ponte, gotico,  si chiama “puente de la rabia”.  Anticamente il bestiame veniva fatto girare per tre volte intorno al pilone centrale per preservarlo da questa malattia.

Zubiri è il capoluogo del comune di Esteribar situato nella comunità autonoma della Navarra.

Questa città fa parte del territorio di lingua basca della Navarra.

Non trovo subito pernottamento ma bensì al secondo tentativo. Raccolgo le ultime forze per trascinare lo zaino sino al  secondo piano e mi butto sul letto. In stanza ci sono sia letti a castello che lettini normali a me è toccato uno di questi. Alcuni già riposano. Devo dire che mi sono ripresa abbastanza in fretta. Riesco anche a fare un po’ di stretching.  Accanto a me c’è una signora francese la quale attiva subito una conversazione. Mi informa che lei il camino lo fa un po’ per anno. Quest’anno arriverà fino a Leon. Una coppia di giovani, tenerissimi, si spalmano di unguento le gambe e stanno vicini vicini, c’è ancora una giapponese che non guarda in faccia nessuno e una coppia già matura.

L’albergue è carino e pulito. La sera ceniamo tutti insieme su grandi tavolate. Ho conosciuto anche una ragazza italiana Susanna e un signore col quale ci parlavamo in francese e poi abbiamo scoperto di essere italiani. Ho ritrovato anche la famiglia americana con la quale avevo condiviso quella piccola sosta, loro dimostrano contentezza nel vedermi e mi alzano il pollice in segno di vittoria. A tavola mi sono ritrovata accanto alla francese, oltre a noi c’era un cubano, un brasiliano, due  donne
canadesi  che forse già avevano dormito a Saint Jean con me e Paola, un inglese, la due coreane e altri due che non so. La francese che era di Poumpadour  teneva molto abilmente le fila della conversazione e tutte le volte che in seguito l’ho ritrovata, sembrava sempre in salotto a conversare. Proprio come si dice facesse madam de  Poumpadour  nel salotto di casa sua.


casa in cui ha soggiornato Hemigway

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