Eccomi alla mia prima tappa. Un cartello recita: Santiago
790 KM. Lo guardo con una certa trepidazione, l’impresa mi sembra inverosimile.

Zaino in spalla e pila in mano ci immergiamo nel buio. Hola!
Il mio “camino” parte da qui. La mia pila fa una lucetta un po’ misera. Paola e
Alessandro hanno familiarizzato, hanno lo stesso passo, io rimango indietro,
sempre più indietro, fino a quando loro spariscono nel buio. Ci eravamo detti
che ognuno avrebbe seguito il proprio passo, il proprio ritmo. Il mio
ovviamente è più lento. Ci siamo dati appuntamento al primo paese per la
colazione. Lì c’è un punto di ristoro che apre alle 6,30 del mattino proprio
per i pellegrini. Quando arrivo ci sono tutti, anche Paola e Alessandro forse
anche Sergio, non ricordo bene. Ripartiamo tutti insieme e con Paola ci diamo
appuntamento al ponte di Zubiri.
Presto rimango sola. Ma la cosa né mi dispiace né mi preoccupa. Di fatto nel camino non si è
mai soli. C’è sempre qualcuno dopo di te. E siamo in tanti.
Il percorso si inoltra nei boschi. Abeti, roveri e pini.
Siamo nella Navarra pedemontana, sempre in zona pirenaica nell’alto de Mezkititz
(922) dove si trova una lapide in pietra che ricorda la Madonna di Roncisvalle, la tradizione vuole che si reciti un "Salve Regina",
e l’alto dell’Erro (801 m.). I sentieri fiancheggiati dalla ricca vegetazione
ancora oggi fanno pensare a cosa doveva essere il cammino nel Medio Evo dove
banditi e lupi facevano tanta paura. Salite, discese, sentieri stretti e ripidi
per fortuna le salite subito discendono. Quando la strada si appiana, la
bellezza delle luci e delle ombre procurate dai raggi di sole che filtrano tra
i rami fitti di foglie, mi cattura e respiro a pieni polmoni. Tutti mi
sorpassano e io mi faccio da parte, lascio che vadano. Sono lenta soprattutto
nei sentieri sassosi. A metà tappa,
circa, trovo una lapide in pietra ed è la prima vittima che incontro. Si tratta
di un pellegrino giapponese. Mentre sono assorbita in muta partecipazione
arriva un passerotto è bello, panciuttino, le piume sul pancino tendono al
rosso mi zampetta intorno, io gli
attribuisco significati che forse sono solo nella mia testa. Lascio il
giapponese con una domanda che si rinnova ogni volta che incontro una croce
“chissà cosa gli è successo o cosa le è successo”. Ritorno sul mio camino, è
ora di pranzo, molti li vedo seduti tra l’erba a imbastire una specie di pic
nic. Io vado avanti inesorabile, mi rendo conto della mia lentezza e non devo perdere
tempo per non arrivare troppo tardi. Il mio pensiero è rivolto anche a Paola
che magari è già a buon punto molto più avanti di me, le telefono dicendole di
non aspettarmi al ponte che sono molto indietro, lei mi dice che vuole ancora
proseguire oltre ma, io di sicuro non ce la farò e quindi ci salutiamo con
l’intesa che se lei deciderà di fermarsi a Zubiri mi aspetterà sul ponte. Le
ore passano, c’è un punto di ristoro. Un camioncino, un tavolino qualche sedia
e un ombrellone. Mi siedo per una bibita, mi viene offerta da un pellegrino che
è in gruppo con altre persone. Sono americani
e sono molto gentili. Infine riprendo il mio cammino. Mi sorpasseranno
di lì a poco. La mazzata deve ancora
arrivare. Sul finire della tappa una lunga discesa che a me pare interminabile.
E’ quasi impraticabile, ma io non sono mai stata in montagna quindi non ho
termini di paragone. Scendo passo passo, sasso per sasso, lo zaino un po’ mi
destabilizza, faccio molta attenzione, non voglio farmi subito del male. A questo punto ho la netta percezione di
essere proprio sola, penso a Vinca, una mia amica che ha tentato più volte di
distogliermi da questa avventura e mi viene da dire che aveva ragione. E penso
alle mie passeggiate di allenamento, soprattutto a quella che ho fatto al mare
in Liguria, Petraligure – Varigotti, credo una quindicina di KM. e della quale
ero tanto orgogliosa. Mi viene quasi da
ridere, se a tratti, non mi venisse quasi da piangere, in confronto a questo
percorso quella è stata una passeggiata, “Una promenade”. Per ben due volte
subisco l’assalto di una colonia di tafani.
Mi pizzicano da tutte le parti, sono il loro piatto di portata
principale. Tento di difendermi sventolando i bastoncini, sembro Don Chisciotte
che combatteva contro i mulini a vento, io contro i tafani. Sono fradicia di
sudore, sono troppo vestita. Quando sono partita da Roncisvalle faceva molto
freddo ma adesso la temperatura si è alzata è pieno pomeriggio e fa caldo. Ma non
me ne rendo conto, l’unico mio pensiero è di andare avanti avanti avanti.
Finalmente come un miraggio mi compaiono i tetti di un
paese, suppongo che sia la mia meta e mi si allarga il cuore. La discesa non è ancora finita ma ora ho la
certezza che sta per finire. Per certo mi rendo conto di quello che sarà il
camino nei giorni a venire. La prima tappa già si è presentata con tutto il suo
splendore e tutte le sue difficoltà.
Come prevedevo Paola sul ponte non c’è. Non ricordo
esattamente a che ora sono arrivata ma sicuramente non prima delle 16’30 se non
addirittura le 17. Ho camminato quasi ininterrottamente dalle 6 del mattino
sino ad allora.
Puente de la rabbia |
Il ponte, gotico,
si chiama “puente de la rabia”. Anticamente
il bestiame veniva fatto girare per tre volte intorno al pilone centrale per
preservarlo da questa malattia.
Zubiri è il capoluogo del comune di Esteribar situato nella comunità autonoma della Navarra.
Questa città fa parte del territorio di lingua basca della Navarra.
Non trovo subito pernottamento ma bensì al secondo
tentativo. Raccolgo le ultime forze per trascinare lo zaino sino al secondo piano e mi butto sul letto. In stanza
ci sono sia letti a castello che lettini normali a me è toccato uno di questi.
Alcuni già riposano. Devo dire che mi sono ripresa abbastanza in fretta. Riesco
anche a fare un po’ di stretching.
Accanto a me c’è una signora francese la quale attiva subito una
conversazione. Mi informa che lei il camino lo fa un po’ per anno. Quest’anno
arriverà fino a Leon. Una coppia di giovani, tenerissimi, si spalmano di
unguento le gambe e stanno vicini vicini, c’è ancora una giapponese che non
guarda in faccia nessuno e una coppia già matura.
canadesi che forse già avevano dormito a Saint Jean con me e Paola, un inglese, la due coreane e altri due che non so. La francese che era di Poumpadour teneva molto abilmente le fila della conversazione e tutte le volte che in seguito l’ho ritrovata, sembrava sempre in salotto a conversare. Proprio come si dice facesse madam de Poumpadour nel salotto di casa sua.
casa in cui ha soggiornato Hemigway |
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