Najera - Granon (30 KM circa)
(Il mio angelo)
Parto da Najera con la pioggia. La costaricana staziona
fuori dall’albergue e mi chiedo cosa stia facendo. Forse aspetta che spiova.
Non so. Comunque sarà l’ultima volta che la vedo. Da lei ho saputo che le due
amiche canadesi hanno proseguito in autobus a causa del piede ferito di una
della due. Mi spiace per loro. Partire dal Canada per poi ritrovarsi fare il cammino in autobus non è certo quello
che sognavano.
Mi avvio, vado a fare colazione dove avevo cenato la sera
precedente. Poi mi perdo nelle vie della città fintanto che incontrato un altro
pellegrino, un francese, lo seguo fino a perdere anche lui. Il percorso è più
piacevole e rilassante rispetto a ieri. Si svolge interamente tra campi
coltivati, vigneti e sentieri agricoli. Per un lungo tratto sono in compagnia
di una coppia di asiatici, se pur ad una certa distanza. Ha smesso di piovere
ma il cielo è sempre grigio e gonfio di nuvole. La coppia di asiatici si aiuta
l’un l’altra a indossare o a togliersi l’impermeabile. Io lo tengo addosso
lasciandolo aperto. Mi ripara dall’aria. Stavo per dire dall’umidità ma non è
vero perché quando lo tengo allacciato col calore del mio corpo trasuda e
quindi è tutto bagnato all’interno, ad un certo punto penso di indossarlo a
rovescio per farlo asciugare.



Le cose da indossare che ho portato mi sono tutte
utilissime. Metto e tolgo durante la camminata a seconda di come si presenta il
tempo. Perdo gli asiatici verso l’ora di pranzo, sorridenti mi salutano e si
fermano in uno di quei punti di ristoro che sono disseminati lungo tutto il
percorso. Vi sono anche altri
pellegrini. La strada è ancora lunga da percorre. Dimenticavo, in mattinata mi
ha superata Phelipe col suo ombrello infilato nello zaino e salutandomi dice: “Granon!” non gli va giù che io oggi
faccia tutta quella strada. Ad un certo punto arriva una ragazza. È spagnola.
Ha uno sguardo particolare che lì per lì non mi riesce di decifrare. È molto
carina. Alta, slanciata, ha i capelli biondi e un sorriso da angelo. Mi supera
distanziandomi. Più avanti la ritrovo ferma sul ciglio della strada mentre
armeggia con lo zaino. Mi fermo e le chiedo se ha qualche problema. Mi dice che
si, le fanno tanto male le gambe ed ha i
piedi in cattivissimo stato. Vedo che indossa sandali da traking senza le
calze. Le dico che dovrebbe mettere dei calzini ma lei mi risponde dicendomi
che il medico l’ha consigliata di lasciar prendere aria ai piedi. Le chiedo
ancora se posso esserle utile in qualche
modo ma mi dice che prenderà degli antinfiammatori come le ha prescritto il
medico. A quel punto vedo che la ragazza
sa il fatto suo quindi la saluto e riprendo la mia strada. adesso capisco, il
suo era uno sguardo sofferente. Comunque penso a lei e la paragono ad un
angelo. Al mio angelo. Dopo un lungo tratto di strada mi raggiunge di nuovo, le
chiedo come sta e lei mi dice bene. Evidentemente gli antinfiammatori hanno
sortito il loro affetto. Mi viene dal cuore: “son contenta” e lei di rimando:
“sei contienda?!!!” mi sorride ancora
con quel sorriso da angelo e mi supera un’altra volta.
Arrivo a Santo Domingo de la Calzada. È
mezzogiorno. Mi avvio per entrare in chiesa ma la stanno chiudendo proprio in
quel momento. Ritrovo il mio angelo. Lei non si accorge di me. Si aggira
cercando qualcosa. sicuramente un hostello. Vorrei tanto farle una foto per
avere il suo ricordo, ma non oso chiederglielo. La porterò in un angolino del
mio cuore, tra le cose belle e preziose.
.
Mi fermo in un ristorante a mangiare. Ordino una sopa.
Solo quella. La trovo molto buona. È di tante verdure tagliate a tocchi. Dalle
taccole agli champignon, più carciofini, piselli e altro ancora. Penso che la
preparerò anch’io per quando andiamo ad
Asti.
Santo Domingo de la Calzada è stato legato al Cammino di Santiago fin
dalle sue origini nel secolo XI. Calzada significa carreggiata e, per estensione, sentiero o cammino.
Santo Domingo (San Domenico), un giovane pastore originario della Rioja, fu
educato al monastero di Valvanera e volle entrare nel famoso monastero
di San Milán de la Cogolla. Quando la sua richiesta fu accolta,
divenne assistente di Gregorio di Ostia, il legato pontificio, che lo ordinò
sacerdote. Alla morte di Gregorio, Domingo si ritirò presso il fiume Oja per condurre una vita eremi

tica e
assistere i pellegrini che andavano a Compostela. Si
chiamò "de la
Calzada" per la sua
opera nel mantenimento e miglioramento della vecchia strada romana che portava
da Nájera a Redecilla del Camino.
Nell'anno 1044 costruì un ponte sul fiume Oja, il più famoso di tutta una serie
di ponti di cui guidò la costruzione. Edificò anche una cappella dedicata a
Santa Maria, un ospedale e un albergo per i pellegrini, oggi ristrutturato
(Parador Nacional de Turismo).
Quando conquistò la Rioja nel 1076, Alfonso VI di Castiglia, vedendo che il diffondersi
del Cammino contribuiva al suo progetto di feudalizzazione di quella zona,
divenne il protettore del santo, delle sue opere e della sua città. Il burgo di Santo Domingo de la Calzada, nacque
come una manciata di case raccolte attorno alla capanna dell'eremita. Alla
morte di Domingo nel 1109, la popolazione era molto cresciuta. La chiesa di
Santo Domingo de la Calzada, dove fu sepolto, fu elevata al rango di cattedrale
poco tempo dopo.
Le opere di Santo Domingo in favore dei pellegrini di Santiago
non terminarono con la sua morte. Molte guarigioni miracolose di pellegrini,
accadute in città, si attribuiscono all'intercessione del santo. Si racconta,
ad esempio, di un cavaliere francese posseduto dal demonio che fu liberato
dallo spirito maligno davanti alla tomba del santo; o che Bernardo, un
pellegrino tedesco del XV secolo che guarì di una infezione purulenta agli
occhi durante la visita alla tomba di Santo Domingo. Oggi, nove tavole dipinte
decorano una parete della cattedrale e narrano i miracoli del santo.
All'interno della cattedrale si trova un pollaio, la cui presenza è legata ad
una tradizione. [1]
Finalmente sono quasi arrivata. Superata ancora una lunga
salita c’è Granon. Arrivo in parrocchia insieme a tre uomini. Mi sembrano i tre
moschettieri oppure i bravi dei Promessi sposi di Manzoni.
Abbandonata in un angolo angusto trovo la mia mochila e
va tutto bene. Nonostante la trentina di KM. non sono molto stanca. Ad
accoglierci c’è una ragazza. Non parla italiano e mi colloca in una sala che
per raggiungerla bisogna uscire e subito rientrare attraverso la porta successiva
all’ingresso dell’ Hostal.

Il pavimento è in legno verniciato. Vi sono dei
materassi a terra. Mi approprio di uno
di questi vicino ad una ragazza. Si chiama Simona e viaggia con la mamma e la
zia. Sono di Torino. Veramente non proprio.
Simona abita al Sestriere, in
montagna e le due donne nei pressi di Torino.
 |
Andrea |
 |
Franco |
Naturalmente facciamo subito amicizia. Trovo anche Marco
ed è lì che racconta a me e ai suoi amici Andrea che è di Roma e Franco, un
italo argentino, della sua avventura con
le mujeres. (marco non è toscano ma di Roma pure lui). L’atmosfera è molto
piacevole, si dorme tutti con i materassi per terra. C’è una bella sala che di
giorno funge da soggiorno dove ci si può riposare, leggere, conversare e di
sera si trasforma in sala da pranzo con dei lunghi tavoli che riempiono tutto
lo spazio. La cucina è a giorno nel senso che è divisa da vetri. Una delle
caratteristiche di questo luogo è che nessun pellegrino viene ricacciato
indietro, se non c’è più posto viene utilizzata la chiesa, il campanile e quant’altro.
La cena è offerta e per l’ospitalità è richiesto un donativo. Dopo cena a
sorpresa ci fanno lavare i piatti. Portano delle grandi bacinelle, che vengono
appoggiate sui tavoli, con acqua insaponata e acqua fresca per il risciacquo. Il
tutto avviene con grande allegria ed in quattro e quattrotto i piatti vengono
lavati, asciugati, i tavoli smontati, insomma, con la collaborazione di tutti si rimette
tutto a posto senza pesare troppo su chi ci da asilo. Il tutto è molto bello, c’è
molto calore, fa più pellegrino.
 |
Marco - al centro |
Ci sediamo tutti in circolo, un signore mi pare irlandese
suona l’armonica a bocca ed un altro la chitarra ed improvvisano un concertino.
Un altro ancora li accompagna cantando in modo molto discreto e piacevolissimo.
Presumo che siano irlandesi dal loro repertorio. Gli animi sono sereni, circola
una bella energia. Siamo lì, persone che vengono da tutto il mondo e viviamo un’atmosfera
di pace ed armonia.
Mi perdo, come il mio solito, un momento di condivisione
bellissimo. Me lo raccontano le mie amiche. Tutti vengono invitati ad andare in
chiesa, e
davanti alle candele accese, ciascuno a turno, si presenta con il
proprio nome e spiega le proprie motivazioni, ciò che lo ha spinto ad
intraprendere il cammino. Io ero a lavarmi i denti.
Nessun commento:
Posta un commento