venerdì 15 novembre 2013

Najera - Granon



Najera  - Granon (30 KM circa)
(Il mio angelo)
Parto da Najera con la pioggia. La costaricana staziona fuori dall’albergue e mi chiedo cosa stia facendo. Forse aspetta che spiova. Non so. Comunque sarà l’ultima volta che la vedo. Da lei ho saputo che le due amiche canadesi hanno proseguito in autobus a causa del piede ferito di una della due. Mi spiace per loro. Partire dal Canada per poi ritrovarsi  fare il cammino in autobus non è certo quello che sognavano.
Mi avvio, vado a fare colazione dove avevo cenato la sera precedente. Poi mi perdo nelle vie della città fintanto che incontrato un altro pellegrino, un francese, lo seguo fino a perdere anche lui. Il percorso è più piacevole e rilassante rispetto a ieri. Si svolge interamente tra campi coltivati, vigneti e sentieri agricoli. Per un lungo tratto sono in compagnia di una coppia di asiatici, se pur ad una certa distanza. Ha smesso di piovere ma il cielo è sempre grigio e gonfio di nuvole. La coppia di asiatici si aiuta l’un l’altra a indossare o a togliersi l’impermeabile. Io lo tengo addosso lasciandolo aperto. Mi ripara dall’aria. Stavo per dire dall’umidità ma non è vero perché quando lo tengo allacciato col calore del mio corpo trasuda e quindi è tutto bagnato all’interno, ad un certo punto penso di indossarlo a rovescio per farlo asciugare.
Le cose da indossare che ho portato mi sono tutte utilissime. Metto e tolgo durante la camminata a seconda di come si presenta il tempo. Perdo gli asiatici verso l’ora di pranzo, sorridenti mi salutano e si fermano in uno di quei punti di ristoro che sono disseminati lungo tutto il percorso.  Vi sono anche altri pellegrini. La strada è ancora lunga da percorre. Dimenticavo, in mattinata mi ha superata Phelipe col suo ombrello infilato nello zaino e salutandomi  dice: “Granon!” non gli va giù che io oggi faccia tutta quella strada. Ad un certo punto arriva una ragazza. È spagnola. Ha uno sguardo particolare che lì per lì non mi riesce di decifrare. È molto carina. Alta, slanciata, ha i capelli biondi e un sorriso da angelo. Mi supera distanziandomi. Più avanti la ritrovo ferma sul ciglio della strada mentre armeggia con lo zaino. Mi fermo e le chiedo se ha qualche problema. Mi dice che si, le fanno tanto male le gambe  ed ha i piedi in cattivissimo stato. Vedo che indossa sandali da traking senza le calze. Le dico che dovrebbe mettere dei calzini ma lei mi risponde dicendomi che il medico l’ha consigliata di lasciar prendere aria ai piedi. Le chiedo ancora  se posso esserle utile in qualche modo ma mi dice che prenderà degli antinfiammatori come le ha prescritto il medico. A quel  punto vedo che la ragazza sa il fatto suo quindi la saluto e riprendo la mia strada. adesso capisco, il suo era uno sguardo sofferente. Comunque penso a lei e la paragono ad un angelo. Al mio angelo. Dopo un lungo tratto di strada mi raggiunge di nuovo, le chiedo come sta e lei mi dice bene. Evidentemente gli antinfiammatori hanno sortito il loro affetto. Mi viene dal cuore: “son contenta” e lei di rimando: “sei contienda?!!!”  mi sorride ancora con quel sorriso da angelo e mi supera un’altra volta.

Arrivo a Santo Domingo de la Calzada. È mezzogiorno. Mi avvio per entrare in chiesa ma la stanno chiudendo proprio in quel momento. Ritrovo il mio angelo. Lei non si accorge di me. Si aggira cercando qualcosa. sicuramente un hostello. Vorrei tanto farle una foto per avere il suo ricordo, ma non oso chiederglielo. La porterò in un angolino del mio cuore, tra le cose belle e preziose.
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Mi fermo in un ristorante a mangiare. Ordino una sopa. Solo quella. La trovo molto buona. È di tante verdure tagliate a tocchi. Dalle taccole agli champignon, più carciofini, piselli e altro ancora. Penso che la preparerò anch’io  per quando andiamo ad Asti.
Santo Domingo de la Calzada è stato legato al Cammino di Santiago fin dalle sue origini nel secolo XI. Calzada significa carreggiata e, per estensione, sentiero o cammino. Santo Domingo (San Domenico), un giovane pastore originario della Rioja, fu educato al monastero di Valvanera e volle entrare nel famoso monastero di San Milán de la Cogolla. Quando la sua richiesta fu accolta, divenne assistente di Gregorio di Ostia, il legato pontificio, che lo ordinò sacerdote. Alla morte di Gregorio, Domingo si ritirò presso il fiume Oja per condurre una vita eremi
tica e assistere i pellegrini che andavano a Compostela. Si chiamò "de la Calzada" per la sua opera nel mantenimento e miglioramento della vecchia strada romana che portava da Nájera a Redecilla del Camino. Nell'anno 1044 costruì un ponte sul fiume Oja, il più famoso di tutta una serie di ponti di cui guidò la costruzione. Edificò anche una cappella dedicata a Santa Maria, un ospedale e un albergo per i pellegrini, oggi ristrutturato (Parador Nacional de Turismo).Quando conquistò la Rioja nel 1076, Alfonso VI di Castiglia, vedendo che il diffondersi del Cammino contribuiva al suo progetto di feudalizzazione di quella zona, divenne il protettore del santo, delle sue opere e della sua città. Il burgo di Santo Domingo de la Calzada, nacque come una manciata di case raccolte attorno alla capanna dell'eremita. Alla morte di Domingo nel 1109, la popolazione era molto cresciuta. La chiesa di Santo Domingo de la Calzada, dove fu sepolto, fu elevata al rango di cattedrale poco tempo dopo.
Le opere di Santo Domingo in favore dei pellegrini di Santiago non terminarono con la sua morte. Molte guarigioni miracolose di pellegrini, accadute in città, si attribuiscono all'intercessione del santo. Si racconta, ad esempio, di un cavaliere francese posseduto dal demonio che fu liberato dallo spirito maligno davanti alla tomba del santo; o che Bernardo, un pellegrino tedesco del XV secolo che guarì di una infezione purulenta agli occhi durante la visita alla tomba di Santo Domingo. Oggi, nove tavole dipinte decorano una parete della cattedrale e narrano i miracoli del santo. All'interno della cattedrale si trova un pollaio, la cui presenza è legata ad una tradizione. [1]

Finalmente sono quasi arrivata. Superata ancora una lunga salita c’è Granon. Arrivo in parrocchia insieme a tre uomini. Mi sembrano i tre moschettieri oppure i bravi dei Promessi sposi di Manzoni.
Abbandonata in un angolo angusto trovo la mia mochila e va tutto bene. Nonostante la trentina di KM. non sono molto stanca. Ad accoglierci c’è una ragazza. Non parla italiano e mi colloca in una sala che per raggiungerla bisogna uscire e subito rientrare attraverso la porta successiva all’ingresso dell’ Hostal.
Il pavimento è in legno verniciato. Vi sono dei materassi  a terra. Mi approprio di uno di questi vicino ad una ragazza. Si chiama Simona e viaggia con la mamma e la zia. Sono di Torino. Veramente non proprio. 
                                                    Simona abita al Sestriere, in montagna e le due donne nei pressi di Torino.
Andrea
Franco
Naturalmente facciamo subito amicizia. Trovo anche Marco ed è lì che racconta a me e ai suoi amici Andrea che è di Roma e Franco, un italo argentino,  della sua avventura con le mujeres. (marco non è toscano ma di Roma pure lui). L’atmosfera è molto piacevole, si dorme tutti con i materassi per terra. C’è una bella sala che di giorno funge da soggiorno dove ci si può riposare, leggere, conversare e di sera si trasforma in sala da pranzo con dei lunghi tavoli che riempiono tutto lo spazio. La cucina è a giorno nel senso che è divisa da vetri. Una delle caratteristiche di questo luogo è che nessun pellegrino viene ricacciato indietro, se non c’è più posto viene utilizzata la chiesa, il campanile e quant’altro. La cena è offerta e per l’ospitalità è richiesto un donativo. Dopo cena a sorpresa ci fanno lavare i piatti. Portano delle grandi bacinelle, che vengono appoggiate sui tavoli, con acqua insaponata e acqua fresca per il risciacquo. Il tutto avviene con grande allegria ed in quattro e quattrotto i piatti vengono lavati, asciugati, i tavoli smontati, insomma,  con la collaborazione di tutti si rimette tutto a posto senza pesare troppo su chi ci da asilo. Il tutto è molto bello, c’è molto calore, fa più pellegrino.
Marco - al centro
Ci sediamo tutti in circolo, un signore mi pare irlandese suona l’armonica a bocca ed un altro la chitarra ed improvvisano un concertino. Un altro ancora li accompagna cantando in modo molto discreto e piacevolissimo. Presumo che siano irlandesi dal loro repertorio. Gli animi sono sereni, circola una bella energia. Siamo lì, persone che vengono da tutto il mondo e viviamo un’atmosfera di pace ed armonia.
Mi perdo, come il mio solito, un momento di condivisione bellissimo. Me lo raccontano le mie amiche. Tutti vengono invitati ad andare in chiesa, e
davanti alle candele accese, ciascuno a turno, si presenta con il proprio nome e spiega le proprie motivazioni, ciò che lo ha spinto ad intraprendere il cammino. Io ero a lavarmi i denti.

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