L’indomani mattina quando esco è ancora buio. Il cielo è
di un blu trasparente, in lontananza le luci dei centri abitati. E’ magico.
Dopo aver attraversato la strada nazionale, la rotta
scorre lungo il fondo della valle su sentieri a terra battuta. Il paesaggio è
sempre molto bello. Aperto e vario. Sali-scendi, mulattiere impervie. Paesini
bellissimi, lindi e ordinati.
Cirauqui (che in lingua basca significa “nido di vipere”
) è arroccato su una collina, presenta vie con pendenze molto accentuate. I
resti delle antiche mura e le due chiese del XIII secolo testimoniano di un
passato splendore. Merita uno sguardo la piazza, dalla quale si passa
obbligatoriamente e lì vicino sotto un arco su una mensola si trova un sello
con il quale timbrare la propria credenziale.
Mi fermo a fare uno spuntino in un piccolo giardino che
si affaccia su una grande vallata. Tira un venticello freddo. I pellegrini
dietro di me proseguono senza fermarsi. Il cammino prosegue imboccando l’antica
strada romana.
Tra Cirauqui e Lorca il cammino è affiancato
dall’autostrada ed è proprio dovuto alla costruzione di quest’ultima che il
camino ripercorre solo a tratti l’antica strada, rettificando parzialmente
l’antico percorso.
Si passa s'un ponte medievale che attraversa il rio
Salado (le cui acque salate, secondo il Codex Calixtinus, avrebbero ucciso i
cavalli). Attraversando la strada asfaltata si trova un monumento che ricorda
una pellegrina canadese morta nel 2002 in un incidente e si prosegue su un
sentiero che ci inoltra nella valle dell’Ega, dove poco dopo aver passato il
ponte sul rio Ega si arriva ad Estella.
Si è rotta una bacchetta proprio nella giuntura e non mi riesce di incastrare nuovamente le due parti. Contrariata, immagino di abbandonare la racchetta sul ciglio della strada e, come nelle fiabe, dietro di me un signore la vede, la raccoglie e me l’aggiusta. Così faccio. Abbandono la racchetta sul ciglio della strada ma, invece di un signore
Proseguo il mio cammino fiduciosa e i grandi ulivi che
lascio dietro di me, carezzati dal vento, brillano, come se fossero d’argento.
Intanto arrivo a Estella. Il
suo nome, secondo la tradizione, deriva dalla visione che alcuni pastori ebbero
di una pioggia di stelle cadenti che li stupì e li indusse a portarsi in un
luogo dove trovarono una statua della Madonna
del Puy. Era il 1085 e il borgo aveva allora il nome latino di Gebalda che i Romani avevano dato ad un loro insediamento. Il
nome Estella, molto probabilmente le venne dato dai pellegrini che transitavano
di qui verso il santuario di Santiago di Compostela, fu accettato nella lingua castigliana per
la sua somiglianza con "estrella",
cioè stella, che ricorda il miracolo delle stelle. In basco invece il nome è Lizarra, che indicava un
villaggio vicino conquistato da Sancho I Garcés di Navarra nel 914. Successivamente il re Sancho III, nel 1090,
pensando ad un'espansione del borgo, fece deviare il Camino de Santiago facendolo attraversare nei due villaggi
vicini che si espansero entrambi fino a formare nel 1266 un unico comune che assunse il nome Lizarra
per i baschi e di Estella per gli spagnoli di lingua castigliana. La città,
favorita dall'essere una località importante del Camino divenne un attivo centro commerciale
che attirò molte persone dai villaggi e dalle campagne vicine e anche franchi
ed ebrei dalla Francia.
Questi vi impiantarono le loro attività commerciali e di servizio per i
pellegrini.
Ritrovo il mio “Francesco” è in compagnia di un signore, potrebbe essere suo padre o uno zio. Sono nel letto a castello vicino al mio. Sopra di me alloggia un brasiliano. Mi fa sorridere quella cadenza che sembra una musica un po’ cantilenante. Dopo aver fatto la doccia, lavato e steso il mio bucatino, vado a riposare e cerco di recuperare la notte insonne passata a Puente, in quell’angusto sottotetto.
Gli alluci sono in cattivo stato. Quelle scarpe che ho
comperato per la pioggia non vanno bene. Compero dell’alcool e mi faccio dare
un giornale vecchio. Con l’alcool bagno la punta interna delle scarpe poi le
imbottisco con pallottole di giornale. Così si dovrebbero allargare e
ammorbidire un po’. Mi accorgo per la prima volta di una signora australiana
che cammina con la famiglia: marito, il figlio, un ragazzino di circa
dieci/undici anni, la figlia, una bambina di circa sette anni e altre due
persone di cui non ho capito la parentela. Li avevo già incontrati a Villava
senza focalizzarli, tranne la bambina che correva e saltava come una cavalletta.
Mi viene in mente quel film di tanti anni fa “Il padre di famiglia” dove la
figura centrale era appunto la madre e qui ho la stessa impressione. Mi pare
che tutto gravi sulle fragili spalle di
questa donna. E’ molto carina, dolce e longilinea. Di origine irlandese ed ha
una voce molto tenue e gentile. Mi suscita molta simpatia.
Il mattino successivo mi faccio prendere un momento dal panico. Non
trovo più i bastoncini. Ricordavo di averli messi sotto al letto, poi il
"mio Francesco" mi suggerisce di andare a vedere nell'ingresso dove
c'era un contenitore apposta per i bastoncini ed è lì che li trovo con
grande sollievo. Senza mi troverei realmente in difficoltà soprattutto
nelle salite e quando sono appesantita dalla stanchezza.
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