venerdì 15 novembre 2013

Zubiri - Villava



SABATO 31 AGOSTO
Sono partita da Zubiri alle 7’30 ed era già chiaro. Stamattina, in considerazione della discesa impervia di ieri e dei sentieri pietrosi, ho indossato le scarpe che ho acquistato per la pioggia poco prima di partire, pensando che in quei terreni accidentati andassero meglio di quelle che avevo scelto per il camino, che durante percorso di ieri,   mi è sembrato di capire che sono un po’ leggere. La suola morbida non mi consente di avere un passo più deciso.
Passato il puente de la rabia la strada prende subito a salire, poi prosegue lungo il rio Arga. Siamo in tanti. La lunga fila si snoda lungo il sentiero. Qualcuno ansima  come me. Ci vorranno un po’ di giorni di allenamento per abituarsi al peso dello zaino e a camminare giorno dopo giorno per tante ore e tanti km. La natura lungo il fiume offre uno scenario bellissimo, fiabesco. La luce che riflette sull’acqua crea degli specchi fantastici. Le fronde degli alberi arrivano a sfiorare l’acqua. Verde e silenzio. Qui la natura è incontaminata.  Anche oggi il camino è difficile. A tratti il sentiero si stringe ad un palmo. Bisogna stare molto attenti a non scivolare o prendere una storta e pure ai ciclisti che ti arrivano da dietro silenziosissimi e in questi sentieri così stretti e a ridosso della riva del fiume diventa molto pericoloso anche per loro. Io non so come fanno. Alcuni vanno giù per queste discese a tutta birra. Mi sembra allucinante.   Anche loro quando ti sorpassano salutano. Tutti salutano: “Hola, Buen camino!” e il cammino diventa buono.
Lo zaino pesa, anche se le spalle si stanno abituando e capisco che è  la stanchezza a far si che succedano piccoli incidenti. A volte l’equilibrio diventa precario. Devo stare molto attenta. Non perdere mai la concentrazione. Un passo falso e sarebbe il peggio. Sono sempre sola. Tutti mi sorpassano. E’ così.
C’è un problema. Non riesco a mangiare. La digestione è difficoltosa e mi appesantisce il cammino. Così bevo e prendo integratori. Ma così non va bene. Devo provvedere.
Dei signori spagnoli mi hanno appena salutata. Ho fatto loro una foto e sono stati contenti.
Credo di essere dimagrita. L’importante è non perdere le energie.
Lasciato il fiume il camino prosegue sul costone della valle. Di sotto la strada che porta a Burgos. E’ pomeriggio, fa caldo, ma non sono più vestita come ieri e poi sto imparando a vestirmi e svestirmi. Per KM. non si incontra nessun paese quindi non c’è la possibilità di fermarsi a bere qualcosa. Inaspettatamente trovo un signore che vende qualcosa. Mi mostra delle pietre che lui ha sistemato per far sedere i pellegrini, e ci sono voluti un paio d’anni di lavoro. Compero una banana e dell’acqua. Lui mi dice che quest’estate sono passati mille italiani. E penso che questa sia una sua stima fissa per tutti per tutte le occasioni. E’ molto cordiale e ciarliero, mi fa piacere questa piccola sosta e anche questa conversazione.
Il grosso dei pellegrini si è dileguato. Siamo rimasti io, un coreano che ha un passo regolare e sistematico, da coreano penso io, che di tanto in tanto si ferma per riposare e un altro ragazzo.
Il paesaggio è molto bello. Si apre in visioni sconfinate. I  paesini sembrano fermi nel tempo, belli, puliti, i balconi infiorati di violacciocche di tutti i colori. Tutti in saliscendi. Per fortuna spira sempre un’arietta frizzante che rigenera. Per certi versi si sta anche bene.
Le scarpe mi fanno male. Ad un certo punto, verso l’arrivo della mia tappa, la strada si appiana e decido di cambiare le scarpe. Riprendo le mie vecchie e mi sento in paradiso. Gli alluci sono stati messi a dura prova.
Con Paola ci siamo sentite, lei mi aspetta a Pamplona ma io preferisco fermarmi a Villava, che è un paese alla periferia di Pamplona, così l’indomani arrivando presto mi prendo una giornata di riposo.
Arrivata a Villava, sempre dopo le sedici, subito dopo il ponte medioevale c’è l’albergue de Pelegrinos un vecchio convento. Lì mi fermo. Mi piace. L’Hospitalero mi accoglie molto gentilmente. Conosce l’Italia. E’ stato nelle città più belle. Mi dice anche che c’è un italiano un certo Federico, ma a me il nome non dice niente. Dopo avermi messo il timbro sulla credenziale, attraversiamo la chiesa (gentilmente mi ha preso lui lo zaino che a questo punto  mi pesava cento chili, ed anche lui mi ha detto che per me era troppo pesante) ed entriamo, anzi usciamo in un cortile molto bello.
Avverto un’energia positiva. La luce è calda e riposante. Delle persone stanno comodamente sedute attorno a dei tavolini con ombrellone. I panni appena lavati sono stesi al sole e gli scarponi fanno bella mostra sul muretto che affianca la scale di pietra. Entriamo nel dormitorio e mi assegna un letto vicino a quel Federico che mi aveva citato prima. Al che esclamo:” Ah! ma sei tu?”,  era quell’italiano che avevo conosciuto la sera prima a Zubiri. Nel camino è così. Ci si vede una volta e quando ci si rincontra è come se si fosse vecchi amici. In realtà diventeremo amici.

Passiamo la serata insieme, a tavola ci ritroviamo con una coppia di irlandesi. Per fortuna lui parla inglese e quindi la conversazione non langue. Io accuso sempre la mia difficoltà nel mangiare. Ordino del pesce, è veramente molto buono e freschissimo ma devo avanzarne un po’ perché mi assale un senso di nausea.
Il mattino successivo aprendo quel pesante portone antico che si affaccia direttamente sul camino dove per secoli hanno transitato pellegrini di tutta la terra,  ho sentito una bella vibrazione percorrermi tutto il corpo e una forte emozione.

calpesto suolo che è tutto il mondo

strumenti senza corde maniradici
protendono ad un vertice buio

d'ignote sintonie


Nessun commento:

Posta un commento